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[ un paio di orecchie (da tirare) ]
Vincent - A noi pittori verrà sempre richiesto di comporre autonomamente e di essere solo dei compositori. Bene – ma nella musica non è così – quando si suona Beethoven, si da una propria interpretazione personale – nella musica e soprattutto nel canto, questa interpretazione è una cosa a sé per un compositore e non è assolutamente indispensabile che un compositore suoni solo le sue composizioni.[1]
Dur. 15' 08"
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Era già passato un anno dalla natività dell’orecchio e fuga di Gauguin da Arles, quando nel gennaio del 1890 Vincent, ricoverato nell’ospedale di Saint-Rémy, percorre i 27 chilometri che lo separavano da Arles per far visita a madame Ginoux, malata da tempo. Il pittore vi ritornerà ancora il 22 febbraio, portandole da vedere un nuovo quadro ricavato dal ritratto a carboncino che Gauguin aveva fatto proprio all’inferma più di un anno prima.[2]
Nel suo periodo di degenza a Saint Rémy Vincent aveva preso a copiare ad olio opere di maestri di cui collezionava immagini: Millet, Daumier, Dorè, Rembrandt, Delacroix. Gauguin è senza dubbio tra questi con il suo disegno di madame Ginoux: un modello e un motivo in più per fare della pittura dal vero senza farsi cucinare dal sole.
Vincent diffida dell'immaginazione, e parla di "astrazione" quando la pittura procede senza aver di fronte la realtà. Non per niente fin dall’inizio della sua attività di pittore aveva dichiarato che “il sentimento per le cose stesse, per la realtà, è molto più importante del sentimento per le immagini”. Tuttavia esistono anche le immagini come cose reali; così quando Vincent realizza repliche dei propri lavori o copie da quelli di altri pittori, egli affronta pur sempre la pittura stessa come “cosa” resa tangibile dalle immagini che la riproducono. “Metto davanti a me come motivo il bianco e nero di Delacroix o di Millet o la resa in bianco e nero delle loro opere. E poi v’improvviso sopra col colore…” -  scrive al fratello[3].
Così, a Saint-Rémy il modello in posa, “sotto i suoi occhi”, non è il corpo di madame Ginoux, ma appunto la ”cosa”, il “corpo” del disegno a carboncino di Gauguin; che Vincent completa inserendo il piano di un tavolo con sopra un paio di libri. Una interpretazione di quel disegno che non riguarda dunque tanto il colore quanto il basamento stesso della figura dell’arlesiana: poteva difatti, nel suo dipinto, quella figura sfumare nel nulla e il gomito poggiare sul vuoto?
A Vincent è bastato segnare la linea di un piano per ristabilire la consistenza materiale degli oggetti rappresentati; e per far capire meglio che si tratta del bordo di un tavolo solido vi carica sopra anche un paio di altre cose ben riconoscibili, come, ad esempio: due libri[4].
E’ naturale che da questo procedere sulla base di una immagine bell’e pronta, non viene poi fuori un ritratto della donna, ma un’idea, o una “sintesi” - come preferirà definirla in una lettera a Gauguin.
Ho cercato si essere rispettosamente fedele al vostro disegno, anche se mi sono preso la libertà d’interpretarlo dal punto di vista del colore, sempre attenendomi però al carattere sobrio e allo stile del disegno in questione. E’ una sintesi di arlesiana, se volete; poiché le sintesi di arlesiane sono rare, prendetela come un’opera vostra e mia, come il riassunto dei nostri mesi di lavoro in comune.[5]
Per quattro volte Vincent replicherà il disegno di Gauguin, e nella ripetizione del motivo, tanto più la figura (copiata da un’immagine) di madame Ginoux diventa una “sintesi”, quanto più la cosità del paio di libri (che ci ha messo lui) si conferma ogni volta più consistente (se possibile) di quella di un pesante paio di scarpe dipinto dal vero.
Sul tavolo verde sembrano così esser messe in gioco - una contro l’altra, o una per l’altra - l’astrazione e la realtà
Già nella seconda versione della sua madame Ginuox, Vincent “si era lasciato andare  all’astrazione” sostituendo l’ombrello e i guanti della donna con dei libri, aperti come per un invito a restare rivolto a Gauguin; ma ora in queste quattro arlesiane quei libri sono chiusi e spinti in avanti, come per sostituire, stavolta, il mezzo bicchiere di assenzio che Gauguin aveva messo davanti all’arlesiana sul tavolo del suo caffè di notte.
A chi vengono mostrati, dunque, questi libri, se non appunto a Gauguin - con il quale l’arlesiana ha incrociato lo sguardo durante la loro unica reale esperienza d’incontro nella casa gialla di Arles, non certo nella ricostruzione insincera di un caffé di notte.  Quei libri che ci fronteggiano con i loro volti stanno lì in posa per lui non meno della donna - che sembra averglieli recapitati -, e che ora lo guarda, soddisfatta di aver ripristinata la realtà della scena madre...
Gauguin diceva di amare la pittura di Cézanne e riteneva di averlo molto imitato: “Ebbene, non mi ha capito – dirà Cézanne ad Emile Bernard. Non riuscirò mai a digerire quella sua mancanza di plasticità! Gauguin non è mai stato un pittore, non ha fatto altro che delle cineserie[6]. Questo aspro giudizio equivale a dire che per lui Gauguin non faceva che della “calligrafia” e della letteratura, o peggio: dell’erudizione e della mistificazione in pittura?
Ancora nel 1904 Cézanne scriverà a Bernard per dirgli che “(l’artista) deve temere le intrusioni della letteratura, che fanno deviare così spesso il pittore dalla sua vera strada, che è lo studio concreto della natura, per perdere troppo tempo  nelle speculazioni astratte[7].
Forse anche Vincent nel lavoro del suo amico avverte l’intrusione della letteratura e dell’astrazione (da cui lui stesso si era lasciato tentare), e così gli mostra un paio di libri, stavolta però chiusi, non certo “slacciati” come un paio di scarpe pronte da indossare per andar fuori a dipingere.

[segue]

[1] - Vincent a Theo, Saint-Rémy 20 settembre 1889 (n. 805-607).
[2] - E’ opportuno chiederci con quali scarpe andava avanti e indietro?
[3] - “Cercherò di spiegarti che cosa sto cercando e perché mi pare giusto copiare queste cose… soprattutto ora che sono malato, ho bisogno di gioia e di fiducia. Metto davanti a me come motivo il bianco e nero di Delacroix o di Millet o la resa in bianco e nero delle loro opere. E poi v’improvviso sopra col colore, ma capiscimi bene, io non sono proprio io, ma cerco di attenermi ai ricordi dei loro quadri, ma questi ricordi, la vaga rispondenza dei colori che io afferro con tutta la mia sensibilità, anche quando non sono quelli giusti, questa è la mia interpretazione personale”. [Vincent a Theo, Saint-Rémy 20 settembre 1889 (n. 805-607)]
[4] - Avrebbe certo preferito aver avuto, sotto mano (e sotto gli occhi) i guanti e l’ombrellino che la donna si era portati via dopo la posa.
[5] - Lettera di Vincent a Gauguin, da Auverse-sur-Oise 17 giugno 1890 (n. RM23-643). Qualche giorno dopo Gauguin, da Le Pouldu, inviò a Theo una risposta per farla pervenire a Vincent che la ricevette il 15 luglio: “Ho visto il quadro di Madame Ginoux: molto bello e molto strano. Mi piace più del mio disegno. Nonostante il vostro stato di salute, non avete mai lavorato con tanto “equilibrio”, conservando tuttavia quel sentimento e quel calore interiore necessari a un’opera d’arte”.
[6] - Emile Bernard, Cèzanne, ricordi e lettere, ed. Longanesi, Milano 1953, p. 30.
[7] - Ivi p. 58. Lettera a Emile Bernard del 12 maggio 1904.
In alto, le arlesiane di van Gogh-Gauguin (madame Ginoux con libri chiusi), tutte eseguite a Saint-Rémy nel febbraio 1890. Da sinistra: – F 540; Saint-Rémy, olio su tela, cm. 60.0 x 50.0; Roma, GNAM - F 541; Saint-Rémy, olio su tela, cm. 65.0 x 49.0; Otterlo, Kröller-Müller Museum - F 542; Saint-Rémy, olio su tela, cm. 65.0 x 54.0; Sao Paulo, Museu de Arte - F 543; Saint-Rémy, olio su tela cm. 66.0 x 54.0; Coll. privata.



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